Ho deciso di approfittare del blocco imposto dal nostro governo per scrivere qualcosa di più rispetto al mio lavoro di fotografo.
Io sono un ritrattista; è quello che mi piace di più, è quello che mi viene di fare quando afferro una camera. Negli anni ho sviluppato un po’ di esperienza in questo ambito: questi sono una serie di consigli per chi vuole specializzarsi nello stesso genere e, magari, ha appena cominciato.
Esplorate ogni apertura
È una grande tentazione quella di scattare all’apertura più estrema che la nostra lente ci consenta e i produttori di lenti lo hanno capito benissimo: negli ultimi mesi vedo uscire sempre più lenti velocissime (f 1.2; f 1; f 0.95) e tanta gente eccitata dalla possibilità di ottenere sfocati morbidissimi nei propri ritratti e un effetto molto tridimensionale nelle proprie foto.
È una trappola in cui caddi pure io: è molto comodo settare la lente ad f 1.4 e scattare valanghe di foto burrosissime: piacevano a me, piacevano ai soggetti che ritraevo. L’unica controindicazione era che le mie foto erano identiche a quelle di centinaia di altri fotografi. Non tanto nei soggetti o nelle pose, quanto nelle intenzioni. Quando cominciai a studiare un po’ più da vicino la ritrattistica, notai che i miei fotografi preferiti scattavano ad aperture che per me erano impensabili: f 5.6; f 8.
Nel tempo, cominciai a capire perché e a “chiudere” sempre più gli stop: un giorno, questa mia transizione trovò il giusto riconoscimento: mi trovavo in un negozio di abbigliamento vintage a Cincinnati, dove vivevo fino allo scorso anno. La titolare mi parlava di organizzare uno shooting per i suoi abiti. Mi disse che aveva scelto me perché nelle mie foto si vedeva tutto, soggetto, abiti e sfondo, e non soltanto la faccia dei soggetti.
Ed è proprio questo il senso: non consideriamo le facce dei nostri modelli come l’unico punto di interesse. Abbiamo un intero frame da riempire con colori, linee e forme: usiamolo. Mettiamolo a fuoco. Da ogni angolazione possibile. Ad ogni apertura possibile. F 1.4 come f 8. Non c'è niente di male a scattare ad f 1.4. A patto che quello non sia l’unica stile fotografico che conosciamo. Perché quelle foto che ci sembravano cinematografiche e professionali, le saprebbe fare chiunque, prendendo la vostra camera in mano.
Se una cosa è troppo facile, la faranno tutti. Sei d’accordo, no?
Cercate di “leggere” la foto
Esporre correttamente una foto non significa fare “centro” sull’esposimetro. Ti rivelo un segreto: io non ce l’ho nemmeno l’esposimetro, sul mio display. Sarebbe solo una distrazione o, alla peggio, un elemento fuorviante. Molte delle camere odierne sono dotate di EVF, che permettono di “leggere” all’istante l’esposizione dell’immagine. Le vecchie reflex fanno lo stesso dal loro schermo sul retro. Insomma: la tecnologia odierna ci permette di cogliere all’istante l’accuratezza della nostra esposizione. Che non significa che è tutto illuminato e perfettamente leggibile. Esporre bene la foto significa avere la luce dove la vogliamo e avere le ombre dove le vogliamo. E quello non si potrà ottenere grazie all’esposimetro della camera: si tratterà di scattare e osservare quello che abbiamo ottenuto, chiedersi cosa vada bene e cosa no. Ogni singolo punto dell’immagine è totale responsabilità nostra. L’unico strumento che possiamo utilizzare in aiuto all’anteprima delle nostre immagini, sarà l’istogramma, che le camere odierne generalmente forniscono abbinato agli scatti realizzati.
Una volta che la nostra immagine è ben esposta nelle luci, un’occhiata all’istogramma ci assicurerà che le ombre non siano “bruciate” e irrecuperabili. (A dire il vero, neppure l’istogramma è infallibile, ma meglio che niente!)
Nessun dispositivo potrà fare questo lavoro di lettura delle immagini per noi. E meno male!
Un lavoro analogo a questo consiste nel tornare su scatti del passato e “leggerli” con occhi nuovi. Se siete determinati nella vostra formazione fotografica, vi accorgerete presto che quelle immagini che prima vi sembravano belle, perderanno il loro fascino e cominceranno a mostrare i loro difetti. È incredibile quanto la vostra percezione del bello cambierà, nel tempo. E le prime a farne le spese, ve lo dico, saranno le tue stesse immagini. Scatti che un anno prima ti sembravano sensazionali, mostreranno tanti di quei difetti che quasi ti vergognerai di averle postate. Non preoccuparti, è normale. Anzi, è segno che stai sviluppando il tuo stile e il tuo gusto. Dobbiamo sempre essere aperti a questo tipo di critica, personale o esterna, per quanto, a volte, ci faccia sentire scarsi o inadeguati.
Come fotografi, noi saremo scelti e giudicati soltanto per il nostro gusto.
I soggetti davanti a noi sono persone
Noi non fotografiamo oggetti, né case, né paesaggi. Se abbiamo scelto i ritratti, è perché ci interessano le persone. Lo ripeto, ci interessano, non ci servono. Non è una questione semantica: c’è un abisso tra interessarsi a qualcuno e usare qualcuno e penso che si colga già a livello lessicale.
Trovo davvero difficile fare una foto a una persona di cui non so nulla. Anzi, non solo è difficile, non mi piace neanche! Per questo uso i momenti del “montaggio del set” per familiarizzare con chi ho davanti. Non solo per studiarmi l’aspetto fisico o il lato migliore (ci vuole un secondo per quello!) ma soprattutto per capire chi ho davanti: imparare subito il suo nome, scoprire qualcosa della sua vita, che lavoro fa, quali siano i suo hobby, la musica che ascolta, o anche solo di che umore è quel giorno. Tutti questi elementi non servono a “far star bene” il soggetto. Questi elementi sono il soggetto e, che tu ci creda o no, saranno parte del risultato finale. Oltretutto, stabilire una buona relazione con chi ci sceglie per le sue foto, significa creare le basi per rapporti di lavoro futuri. Le persone possono avere bisogno di foto per decine di ragioni diverse: se si saranno trovate bene con te, non sentiranno mai il bisogno di cambiare.
Molte persone che conosco non sanno distinguere la differenza tra una buona foto e una foto eccezionale. Ma tutte le persone che conosco sanno distinguere la differenza tra una persona accogliente e una fredda, o peggio ancora, opportunista.
Le persone non tornano da noi per le nostre foto, ma per l’esperienza che gli offriamo. Di fotografi bravi ne esistono tanti. Di brave persone che fanno grandi foto, certamente meno. Tu da che parte vuoi stare?